Suor Maria di Gesù della SS. Trinità
Priora delle Suore Carmelitane Teresiane Scalze del Monastero di clausura di
Ripacandida.
(Nata a Pescopagano il 1725 morta in concetto di Santità il 17 Maggio 1803)
Benvenuto
Brevi cenni biografici su Mons. Giuseppe Gentile
”La sofferenza è segno dell'amore di Dio perché Dio ama coloro che soffrono.
Questo pensiero mi conforta, m'infonde coraggio e forza per sopportare lo
stato di sofferenza.
E' stato molto doloroso sopportare il mio nuovo stato di salute. Mi sono
rassegnato e mi sono rimesso nelle mani del Signore.
La mia preghiera che rivolgo spesso a Lui è: “Gesù abbi pietà di me”. Gesù,
tu avevi bisogno della mia sofferenza che offro a te ogni giorno, rimettendomi
alla tua volontà.
Offro tutta la mia sofferenza per la conversione della mia comunità
parrocchiale di Ripacandida e per tutti i sacerdoti. Mi rimetto completamente
alla volontà di Dio.”
Ogni momento della nostra vita porta con sé un accumulo di fatti nuovi, e ognuno di
questi fatti nuovi porta con sé le sue impressioni. Riporto qui pochi momenti di vita
vissuti vicino a mio zio, per dare qualche dettaglio in più e per meglio comprendere
anch'io con la mia famiglia, come mai, dopo dieci anni dalla sua morte, si continua a
parlare ancora di lui!
Risalgo il sentiero del tempo e mi rivedo in un treno: seduto su un fianco con un libro
aperto. Non riuscivo però a trovare la posizione giusta, infine mi addormentai e mi
svegliai appena il treno raggiunse la stazione di Melfi. Ad aspettarmi, c'erano mia
sorella sr. Carla e mia zia sr Annunziata che mi aggiornarono sullo stato di salute
dello zio. Affrettammo il passo ed entrammo nell'Ospedale dove egli era stato
ricoverato per una grave malattia: un tumore! Appena mi vide, abbozzò un sorriso sul
viso scarno e mi disse:
”Ciao, scusami se per causa mia sei qui!
Allungai le braccia facendo attenzione a non strappargli la cannula della flebo e lo
abbracciai. Appena in tempo! Pochi istanti dopo, gli infermieri, lo portarono in sala
operatoria! Un brusio di voci, poi la porta si richiuse velocemente. Dopo l' intervento,
durato tre ore circa, fu portato in terapia intensiva. Colsi allora la sensazione della
sua gravità, confermatoci sia dal Primario che l'aveva operato, che dal Prof. Martino
che aveva assistito all'intervento.
Ora la vostra attenzione è tutta rivolta a scoprire cosa sia successo dopo. Il
fantasma della malattia diventata realtà, attacca e si nasconde; cosa farà, lo lascerà
andare?...
Dopo pochi giorni stava già meglio....
Quella mattina lo ritrovai in una camera diversa dagli altri giorni, molto spaziosa e
soleggiata. Adagiato sul letto con il capo sollevato da due cuscini, e una coperta
marrone chiaro, piegata in due contro la spalliera. Fra le mani stringeva un rosario.
Sembrava che dormisse. Mi avvicinai a lui lentamente per non svegliarlo, quando
con voce flebile, mi sussurrò:
“Gino ho sete!”
Bevve a piccoli sorsi, poi si riaddormentò per pochi minuti. Mi tornarono in mente le
stesse parole che Gesù aveva pronunciato sulla Croce.” Ho sete!”... e mentre
riflettevo sul loro significato evangelico, la porta socchiusa si spalancò. Riconobbi
subito il primario, il suo team e gli infermieri. C'era con loro anche il dott. Martino che,
con passo veloce si accostò a quel paziente provato dalla malattia e lo guardò in
faccia, come se volesse cogliere nel suo sorriso, i segni di un miglioramento che
tardava, poi disse:
- ”Don Giuseppe, come va oggi?”
Lo zio scrutando i suoi occhi gli rispose:
“Meglio, grazie!”
Il dottore, girando lo sguardo verso i suoi colleghi, lasciò cadere pochi secondi la
conversazione, poi riprese:
- “Colleghi, don Peppino è un vero amico, lo conosco fin dalla gioventù, da quando
frequentavo l'azione cattolica. Sempre operoso, zelante verso la Chiesa, gli umili.
Studioso dei problemi sociali, ricercatore storico del paese: un pezzo di storia del
nostro paese!”
Lo zio, alzando il tono della sua voce gli disse:
“Non esagerare!”
In quel periodo io e mia sorella ci recavamo tutti i giorni a fargli visita. In ospedale,
incontravamo spesso un giovane sacerdote: Don Vincenzo Mossucca, allora
segretario del Vescovo, il primo a soccorrere lo zio il giorno della sua caduta a casa.
Il giorno prima, infatti,gli aveva telefonato:
- “Vincenzo, domani mattina ti aspetto a casa per accompagnarmi in ospedale!”,gli
disse con voce tremante. Stava proprio male. Inoltre, quella mattina cadde, e a fatica
riuscì ad aprire la porta. Per questo motivo, quel giovane prete si trovava nei pressi
della canonica quella mattina. Fu lui a dare i primi soccorsi allo zio, e ad
accompagnarlo in ospedale.
Moltissimi erano i parrocchiani che vidi accostarsi al suo letto in quei giorni di
ricovero . La loro vicinanza lo colpiva tanto da commuoversi. Vi erano anche molti
sacerdoti e tant' altra gente che io non conoscevo. Dicevano di lui cose buone:
“Questo prete, dedicò tutta la sua vita all'evangelizzazione, ai poveri, agli umili, alle
persone senza voce e né speranza, con serenità e pazienza, senza scoraggiarsi mai
davanti alle tante difficoltà. Ha riportato alla luce la piccola grande storia di
Ripacandida attraverso la testimonianza dei suoi figli con uno sguardo attento al
passato e con la conoscenza del cultore della teologia dei Padri.”
Ma vediamo più da vicino la figura di questo piccolo parroco di Ripacandida
Don Giuseppe nasce da genitori umili il 16/3/1920 da Luigi Gentile e da Carmela
Martino. Famiglia composta da 10 figli, cinque maschi e cinque femmine, delle quali
tre suore e Giuseppe che, diverrà poi sacerdote per volere del Signore. All'età di
dieci anni è orfano di mamma. Era l'anno 1930, l'anno in cui un fortissimo evento
sismico colpì Ripacandida interessando un'area che si estendeva dal territorio di
Melfi, fino ad Ariano Irpino. La fanciullezza di mio zio come pure quella di tutti gli altri
fratelli e sorelle non dovette essere stata facile, soprattutto dopo la morte della loro
mamma, avvenuta dopo la nascita dell'ultimo figlio:Giannino. Con l'ultimo arrivato in
famiglia, la vita per essi si complicò, tanto, da far decidere mio nonno a risposarsi.
Allora l'epoca fascista elettrizzava forti tensioni politiche e spirituali. Il senso della
patria era molto sentito. Il rapporto fra le persone era però più semplice, più sincero,
più disponibile, meno esigente di oggi. L'analfabetismo era diffuso. Molti si
fermavano alla terza elementare, pochi quelli che terminavano gli studi superiori e
universitari. Moltissimi sapevano apporre solamente la propria firma. In questo
contesto storico e sociale, don Giuseppe cresce e modella il suo carattere. In
famiglia, oltre al sacrificio, al lavoro, c'era una grande componente educativa: la
preghiera. Una sfida alla società in cui si viveva. Troppe incertezze, troppi dubbi
circolavano in quegli anni, ma la preghiera riuscì ad affascinare questo nucleo
familiare. Tre sorelle rispondono alla chiamata del Signore.
Maria(sr.Venanzina)francescana; Vincenza(sr.Carmela), e Ida(sr.Annunziata) nella
Congregazione Pie Operaie di San Giuseppe.
Anche Giuseppe non tardò a staccarsi dalla famiglia, in lui il germoglio vocazionale
prese il sopravvento e si recò presso ìl seminario di Potenza per intraprendere gli
studi, e diventare sacerdote. Una vita intensa fatta di studi, di preghiera, di
discernimento, d'attesa, di speranza. Una speranza operosa. Tuttavia, una
improvvisa bronchite acuta trasformatosi in polmonite, lo costrinse a rallentare gli
studi. Preoccupato il nonno per lo stato di salute di mio zio e per il suo dimagrimento,
inviò mio padre (Donato) in seminario di Potenza a portargli più cibo. Aveva bisogno
di mangiare di più. Presto guarì, e terminati gli studi, finita la sua educazione fu
ordinato sacerdote nella Chiesa Madre. Un'emozione indescrivibile, per sé, per la
famiglia, per la piccola comunità di questo caratteristico lembo di terra della
Basilicata. Ora, finalmente, era pronto per l'alta missione che Gesù gli aveva affidato.
Un cammino arduo l'attendeva. Insegnare, guidare, santificare delle anime.
Ha rinnegato sé stesso, si è spogliato di tutto e la Croce è stata la sua compagna
inseparabile. Maria Santissima la sua consigliera e protettrice....
Nei primissimi anni di sacerdozio fu mandato a Leonessa, frazione di Melfi, una
piccola contrada rurale, distante dieci chilometri dal comune di appartenenza e a
poche centinaia di metri dal corso dell'Ofanto. Comunità di appena 300 abitanti
sparsi lungo tutto il territorio. Per raggiungerli, utilizzava una vecchia moto. Alcune
volte, percorreva a piedi i sentieri polverosi, e rocciosi. Incontrando nei campi:
uomini, donne, bambini, faticosamente immersi nel lavoro, sotto il sole cocente
dell'estate, e dal freddo dell'inverno. Il bestiame affondava con potenza l'aratro nel
durissimo suolo. I sassi smossi, venivano portati via a mano, per rendere il terreno
buono alla seminatura. Si respirava e si mangiava polvere fino a sentirla scricchiolare
tra i denti. Quell'esperienza vissuta dalle persone di allora, porteranno don Peppino
a stare sempre più vicino ai poveri, annunciando il Vangelo con passione e amore,
prendendosi cura di quel mondo rurale e dell'uomo, anche attraverso alcuni suoi
scritti. Ricordiamo:
Problematica del mondo del lavoro - occupazione giovanile e la Basilicata
Problematica socioreligiosa del mondo rurale e della Basilicata
Per diversi anni seguì molto da vicino i problemi rurali della Basilicata, fu insignito
quale: Presidente Regionale della Coldiretti ecclesiastica, girò per alcune regioni
partecipando a convegni e studi.
La storia della sua vita la si può capire meglio leggendo ed analizzando i moltissimi
scritti da lui lasciati oltre alle sue opere caritatevoli verso i più bisognosi. Ha scritto
inoltre alcuni articoli per l'Avvenire regionale.
Casa Canonica: Fu costruita negli anni 65/66, edificata su un terreno di mio
nonno Luigi. Per completare l'opera: (pavimentazione, infissi, ecc.) fu necessario il
contributo economico di mio zio, già parroco, preside e insegnante di religione e per
molti anni anche insegnante di matematica della scuola media.
Sviluppata in verticale su due piani. Al piano terra un'ampia sala utilizzata per
riunioni, cinema, attività di gruppo, ampie vetrate, luminosissimo, dotata di un
pianoforte. Adiacente ad essa tre locali adibiti a sale da gioco arredati di biliardini
tavoli da ping pong, bagni. Un seminterrato con ampio box. Al primo piano la
struttura era composta da: ingresso, quattro camere, una piccola cucina, due bagni,
La sua cameretta sobria: un lettino, due sedie, un armadio, un piccolo televisore
quasi sempre guasto, libri sulle due sedie dai quali, d'inverno, attingeva un po' di
calore, soprattutto culturale.
Trascorrere in casa pochissimo tempo, preferiva il contatto con la sua piccola
comunità.
La sua giornata cominciava prestissimo, anche d'inverno. Alle cinque con le
preghiere del mattino. Alle 7 la prima Santa Messa, espletando tutte le funzioni
religiose in Chiesa e tra i suoi parrocchiani fino a sera molto tardi per incontri,
programmazioni, e visite alle famiglie più bisognose.
Uscita dll'ospedale di Melfi: verso San Giovanni Rotondo
Dimesso dall'ospedale di Melfi, si trasferì, per un periodo di convalescenza, presso le
Suore Pie Operaie di San Giuseppe, in San Giovanni Rotondo ove rimase per circa
un mese. Tornato a Melfi per un controllo, lì il vescovo, gli aveva promesso che
quando si sarebbe ristabilito poteva tornare a Ripacandida. Così, lo zio, dopo la visita
ritornò a San Giovanni Rotondo di nuovo dalle suore. Passato un certo periodo, il
vescovo fu a San Giovanni Rotondo dalle suore. In quell'occasione e davanti allo zio
e a testimoni, disse che lui lo avrebbe portato a Melfi nella sua casa. Lo zio si animò
a questa notizia! Così, dopo un mese, a insaputa delle suore e di suor Carla, decise
di andare a vedere a Melfi. Chiamò un giovane che conosceva e con la macchina fu
a Melfi. Ma il vescovo gli disse: “ per ora vai nella casa di riposo che é vicino alla
cattedrale e dopo quando starai meglio verrai nella mia casa”. Per una notte dormì in
quella casa che, a detta di mio zio, non era abitata, non era riscaldata e non c'era
nemmeno acqua calda.
NIna Chiari che lavorava in curia a Melfi gli preparò un brodo caldo. Il giorno dopo lo
zio chiamò la stessa persona che l'aveva accompagnato a Melfi e ritornó a San
Giovanni, dove rimase fino alla sua morte. Ancora un tempo dalle suore e dopo un
ulteriore ricovero fu portato nella “Casa di Riposo della Casa Sollievo” di San
Giovanni dove celebrava e quando poteva confessava, tanto che alla sua morte gli
ospiti di quella comunitá dissero che era sempre disponibile per la confessione
Testimonianza: Tornai a fargli visita diverse volte. L'ultima, due settimane prima
che morisse. La sua camera era vuota. I suoi libri un po' in disordine, come al solito!
Uscii rapidamente un po' preoccupato e chiesi notizie ad un infermiere dove fosse
mio zio. Mi rispose con un sorriso alzando di poco il tono della voce prima di sparire
nella camera attigua:
“lo trovi in Cappella a celebrare la messa!
Voltai in fondo al corridoio, e presi l'ascensore per il piano superiore. Raggiunto la
Cappela, vi entrai con molta discrezione, facendo attenzione a non far rumore. Lo
vidi vicino l'altare, poi si avvicinò ai commensali, e distribuì loro Gesù Eucaristia.
Terminata la Santa Messa ritornammo insieme nella sua camera. Aveva un sorriso
particolare e una luce insolita nei suoi occhi. I suoi capelli grigi, un po' ribelli, pettinati
all' insù.
“Allora zio come stai, come trascorri le giornate?” Gli dissi, guardando le copertine
di alcuni libri sul tavolo. E lui, alzatosi dalla sedia e appoggiandosi sulla mia spalla,
rispose:
“Vieni e vedrai!”
Entrammo man mano in tutte le stanze a visitare gli altri ammalati. I più gravi
giacevano nei loro letti con quell'aria spaesata, affranta dal dolore per la propria
malattia. Lui, aveva un bel dire verso tutti. Li confortava e li accarezzava. Da
qualsiasi parte andassimo, mi presentava a qualcuno di loro, a quelle vite, con
rispetto e amore per la loro condizione. Ognuno di loro narrava una storia
completamente diversa. Storie che potrei raccontarvi senza fretta, ma che rimando
per non annoiarvi. Cominciammo a fare andirivieni nel corridoio dell'ospedale, un
braccio all'indietro per non farlo stancare nel camminare, quando:
“Don Peppino, domani vorrei confessarmi!”, esclamò un signore dall'aspetto
burbero, e dagli occhiali spessi. Un'altra persona uscendo dalla propria stanza, si
bloccò un attimo, pensando di disturbarci nella nostra conversazione, ma fattosi
animo e guardandolo in viso, gli sussurrò:
“Hai un po' di tempo per me? Vorrei parlarti di mio figlio!
Pochi passi ancora, poi, una signora dalla corporatura esile, con le pantofole rosa ci
venne incontro:
“Domani mattina mi operano, preghi per me don Giuseppe!”.
E lui con lo sguardo sorridente gli rispose:
“Più tardi passeremo da te Anna e pregheremo tutti insieme”.
Ebbi una nota sensazione di essere stato coinvolto ancora una volta. Più tardi infatti,
recitavamo il Rosario con loro. Più rigiro questi ricordi nella testa, più mi sembra di
tornare a riascoltare le loro voci, le loro ansie, la loro attesa, la loro speranza.
Nella stesura di un opuscolo riguardante la vita mistica di Suor Maria di Gesù, san
Gerardo Maiella e Sant'Alfonso de' Liguori, lui così diceva di sé:
“Solo un santo potrebbe parlare di queste altezze ed io sono un povero servo di
Dio che cammina per terra “.
M o r t e :
La mattina del 12 settembre del 2005, dopo essere stato ricoverato d'urgenza, in
Ospedale volse lo sguardo al Padre e si consegnò fra le sue braccia misericordiose.
Con la sua morte cessò pure la sofferenza che lui aveva offerto in sacrificio per la
conversione di tutti, dei suoi parrocchiani che lui amava tanto.
Il giorno successivo le sue spoglie ritornano nella sua amata patria: la Parrocchia
Santa Maria del Sepolcro di Ripacandida, ove i suoi parrocchiani preparano una
veglia di addio. Un tripudio di uomini,donne,bambini, accorrono da Ripacandida e
dai paesi limitrofi per pregare. L'indomani, il giorno 14 settembre, si svolsero i funerali
alla presenza del Vescovo emerito Vincenzo Cozzi, di mons. Todisco, Vescovo di
Melfi, di molti Padri, sacerdoti, autorità locali, familiari e della comunità di
Ripacandida.
Testamento spirituale di Mons. Giuseppe Gentile
Arciprete e parroco di Ripacandida(Pz)
Suor Stefania Gentile
(nipote)
Suor Carla Gentile
(nipote)
Suor Annunziata
(ex Madre Generale)
Suor Carmela
Suor Venanzina
(Francescana)
I Genitori di don Giuseppe
Luigi Gentile
e
Carmela Martino
(con alcuni dei dieci figli)
Le tre sorelle suore